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mercoledì 21 novembre 2018

Lo sviluppo della pellicola bianco e nero
 Per sviluppare una o più pellicole bianco e nero sono necessari: 

Una Tank con una o più spirali Un Termometro per liquidi Caraffa e/o cilindri graduati Chimici: Sviluppo, bagno d'arresto, fissaggio ed imbibente Pinze appendi pellicola La Tank
 La tank è un barattolo, un cilindro nero a tenuta di luce nella quale però possono essere versati e svuotati dei liquidi. La sua funzione è proprio quella di tenere la pellicola al buio, avvolta nella spirale, immersa nei chimici. 
Termometro per liquidi E' uno strumento fondamentale poiché la temperatura delle soluzioni influisce moltissimo sullo sviluppo. Misurare quindi costantemente la loro temperatura è necessario per controllare tutto il processo. Il range di solito va dai 18° ai 26°, anche se la temperatura standard più utilizzata è 20° o 24°.

 Caraffa e/o cilindri graduati La chimica fotografica deve essere, per la maggior parte delle volte, diluita in acqua. E' quindi indispensabile misurare le parti di acqua e le parti di chimico per miscelare la quantità giusta. Per esempio se troviamo scritto 1+39 dovremo dividere la quantità totale di liquido necessario* per 40 (1+39). (*si trova scritta sul fondo della tank e varia a secondo del tipo e quantità di pellicola che si desiderano sviluppare).
 Il risultato della divisione sarà la quantità di chimico che dovremo utilizzare. Il resto è invece la quantità d'acqua. Esempio Diluizione ars-imago FD Film Developer Abbiamo bisogno di un totale di 650ml di liquido per sviluppare 2 pellicole nella tank; 650ml diviso 40 parti fa all'incirca 16ml. Mischieremo quindi 16ml di chimico e 634ml d'acqua. Alcuni rivelatori per pellicola possono essere diluiti anche 1+50 fino a 1+200 ed è quindi necessario un cilindro o una siringa che misurino anche piccolissime quantità. In ogni caso è bene non utilizzare meno di 4-5 ml di chimico per sviluppo. 

Chimici: sviluppo, bagno di arresto, fissaggio e imbibente Lo sviluppo, o rivelatore, ha il compito vero e proprio di “rivelare” l'immagine negativa sulla nostra pellicola. In genere il tempo standard è tra i 5 e i 15 minuti di sviluppo a seconda dell'accoppiata rivelatore-pellicola. Il bagno d'arresto arresta il processo dello sviluppo e ha un tempo di circa 40-60 secondi con agitazione continua. 

Il fissaggio invece ha il compito di fissare l'immagine, ovvero quello di rendere non più sensibile la pellicola alla luce. Senza il fissaggio infatti la pellicola, cosi' come qualsiasi materiale fotosensibile, si annerirebbe totalmente. Si diluisce solitamente da 1+4 fino a 1+9. Il tempo di questo bagno varia a seconda del tipo di fissaggio e soprattutto a seconda della sua “età” o “freschezza”. Il fissaggio può infatti essere utilizzato per molte pellicole e col tempo perde però un po' della sua efficacia. 

Si raccomanda infatti di aumentare il tempo dopo ogni utilizzo. Se da una parte un tempo troppo breve può non fissare bene la pellicola, dall'altra un tempo troppo prolungato può inficiare la qualità del negativo. 

Esiste ad ogni modo un metodo per evitare un fissaggio insufficiente o eccessivo, testando il tempo di “chiarificazione” della pellicola: versate una goccia della soluzione di fissaggio sopra uno spezzone di pellicola non sviluppata. Aspettate finché la parte bagnata dalla goccia diventi trasparente (solitamente dopo 30-60 secondi). Immergete quindi tutto lo spezzone di pellicola nella soluzione di fissaggio e misurate il tempo necessario affinché non sia più riconoscibile il segno lasciato dalla goccia. Il tempo ottimale di fissaggio corrisponde al doppio del tempo di chiarificazione. Se ovviamente la soluzione non riesce a rendere trasparente la pellicola o ci mette molto tempo bisogna cambiare o rigenerare la soluzione. 

Dopo il fissaggio la pellicola va lavata in acqua corrente per circa 15-25 minuti. E' importante non usare un getto d'acqua molto forte per evitare un vortice in superficie che non consentirebbe il corretto ricambio d'acqua. E' quindi auspicabile tenere l'acqua a filo, meglio ancora se con un tubicino che dal rubinetto entra direttamente nella tank. 

Dopo il lavaggio la pellicola va immersa nel bagno imbibente: è una soluzione che rende antistatica e scivolosa la pellicola per evitare polvere e tracce di calcare. Procedimento di sviluppo del negativo Seguiamo passo passo lo sviluppo di una pellicola: prendiamo ad esempio una Kodak Tri-x esposta nominalmente a 400 iso e sviluppiamola in ars-imago FD Film Developer. Apertura della pellicola al buio Innanzitutto entriamo in una camera completamente buia; estraiamo la pellicola dal rocchetto (il cosiddetto rullino) e inseriamola nella spirale. Per l'apertura del rullino c'è chi utilizza solamente le mani spingendo il pollice nella fessura facendo leva, chi invece un cavatappi per “stappare” il rullino di lato, o chi utilizza un estrattore per pellicola. Provate varie volte e trovate il sistema più comodo per voi. L'importante è toccare il meno possibile la pellicola, soprattutto dal lato dell'emulsione. Inserimento nella spirale e chiusura della tank Una volta aperto al buio il rullino bisogna inserirlo nella spirale che ci prepariamo nella giusta posizione per non confonderci a luce spenta.

 Prima si consiglia di provare l'inserimento alla luce con una pellicola di prova. E' utile tagliare con le forbici il primo pezzo di pellicola per evitare possibili inceppamenti e arrotondare gli angoli iniziali per facilitare maggiormente lo scorrimento. Una volta inserito nelle guide il primo lembo, tiriamo la pellicola un po in avanti finché non supera le due palline della spirale che permettono appunto il trascinamento. Con entrambe le mani poi impugniamo le due “ruote” della spirale e teniamo i pollici sulle guide, quindi avvolgiamo la pellicola ruotando alternatamente le ruote delle spirali. Quando la pellicola è finita strappiamo o tagliamo l'ultima parte in modo che si stacchi dal rocchetto. 

A questo punto infiliamo il tubo interno della tank dentro il buco centrale della spirale. Quando la spirale è arrivata alla fine blocchiamola con l'anello grigio che la tiene ferma sul fondo (o inseriamo una seconda spirale vuota per tenere ferma in basso quella caricata). Infiliamo il tubo con la spirale dentro la tank, chiudiamo con la parte superiore ad incastro o a vite (a secondo del tipo di tank) e chiudiamo con il tappo. Dopo essersi assicurati che la tank sia chiusa correttamente, possiamo accendere la luce. D'ora in poi verrà tutto effettuato alla luce. 

Preparazione e diluizione Dobbiamo a questo punto preparare i chimici per tutto il processo. Ci prepareremo quindi la soluzione di sviluppo, arresto e fissaggio già diluiti e pronti all'uso.

 Portiamo la temperatura dell'acqua, in cui diluiremo i chimici a 20°. Sviluppo Consultando l'apposita tabella vedremo che possiamo sviluppare la Kodak Tri-x, esposta a 400 iso, per 6 minuti in ars-imago FD Film Developer 1+39. Per un rullo 35mm occorrono circa 400 ml di liquido. Per determinare la corretta quantità da diluire calcoliamo come segue: - 400ml diviso 40 (1+39) = 10ml di sviluppo Utilizzeremo così 400 ml di soluzione di cui 10ml di chimico e 390ml d'acqua. Bagno d'arresto Prepariamo poi il bagno d'arresto ars-imago ST Stop Bath. Come indicato sul prodotto abbiamo una diluizione di 1+30. - 400ml diviso 31 (1+30) = 13ml circa di bagno d'arresto Utilizzeremo così 400 ml di soluzione di cui 13ml di chimico e 387ml d'acqua. Fissaggio Prepariamo poi il fissaggio ars-imago FX Fixer. Come indicato sul prodotto abbiamo una diluizione di 1+7. - 400ml diviso 8 (1+7) = 50ml di fissaggio Utilizzeremo così 400 ml di soluzione di cui 50ml di chimico e 350ml d'acqua. Imbibente Prepariamo infine l'imbibente ars-imago WB Washing Bath. Come indicato sul prodotto abbiamo una diluizione di 1+99: Prepariamo una soluzione abbondante di 1000ml: Utilizzeremo così 1000 ml di soluzione di cui 10ml di chimico e 990ml d'acqua.

 Il processo Sviluppo Ora abbiamo bisogno di un orologio o di un timer. Circa 10-15 secondi prima di arrivare al minuto iniziamo, dopo aver tolto il tappo di gomma, a versare il rivelatore nella tank. Copriamo poi col tappo e spingiamo con i pollici al centro per far uscire tutta l'aria. A questo punto per i primi 30 secondi dobbiamo agitare ribaltando la tank e ruotandola contemporaneamente tra le mani. Finita l'agitazione sbattiamo la tank 3-4 volte sul piano d'appoggio per evitare che si formino bolle. Allo scoccare del primo minuto agitiamo ancora per 10 secondi, ripetendo l'azione ad ogni minuto. Una ventina di secondi prima che il tempo scada svuotiamo la tank. Bagno d'arresto Versiamo quindi il bagno d'arresto e agitiamo per circa 40-60 secondi in continuazione. 

Dopodiché riversiamo via anche l'arresto e riempiamo con il fissaggio. Fissaggio Agitiamo la tank con la stessa modalità utilizzata per lo sviluppo: i primi 30 secondi e poi 10 secondi ad ogni minuto. A seconda del tipo e della freschezza della soluzione, fissiamo per circa 5-8 minuti. Tuttavia per il fissaggio l'agitazione e il tempo sono più flessibili. Dopo il bagno di fissaggio possiamo già aprire la tank. Lavaggio Una volta gettato via il fissaggio, riversandolo con un imbuto nella sua bottiglia, iniziamo il lavaggio. Prima di lasciare la tank sotto l'acqua riempiamola, agitiamo e svuotiamola 2-3 volte in modo da lavare via la maggior parte del fissaggio rimasto. Il resto sarà lavato dal flusso continuo di acqua. Dopo 15-20 minuti svuotiamo la tank liberiamo la pellicola dalla spirale: con un gesto deciso e veloce prendiamo un lembo della pellicola e sfiliamola. Teniamola in alto altrimenti la coda si sporcherebbe a terra, un rullo 35mm è alto circa 1.50m Imbibente A questo punto possiamo immergere manualmente la pellicola dentro una caraffa larga o una bacinella con la soluzione imbibente diluita: tenendola per le le due estremità faremo scorrere per circa un minuto la pellicola nella soluzione per bagnare tutta la superficie. 

 Asciugatura Prima di asciugare la pellicole dovremo togliere l'acqua in eccesso: lo faremo mettendo la pellicola tra l'indice e il medio e facendo scorrere le dita fino alla fine, per un paio di volte. Attenzione ad utilizzare la parte interna delle dita e non le eventuali unghie e pellicine in prossimità della punta che righerebbero la pellicola. Sono in commercio anche dei tergi pellicola in gomma che hanno la stessa funzione. A questo punto stendiamo il rullo con delle mollette: è utile attaccare un piccolo peso all'estremità inferiore per tenere la pellicola tesa e dritta. Ora non avviciniamoci più poiché è proprio questo il momento più critico quando è umida e appiccicosa e la polvere o altro possono depositarsi sulla superficie. Dopo qualche ora potete tagliare la pellicola in strisce da 5 o 6 fotogrammi e archiviarla negli appositi fogli di conservazione. Lavaggio degli strumenti Ricordiamo sempre di lavare approfonditamente, con acqua possibilmente calda, tutti gli strumenti utilizzati per evitare possibili contaminazione dei chimici. Eventuali resti o tracce della chimica utilizzata su spirali e tank possono infatti causare problemi e rovinare gli strumenti stessi.

venerdì 16 novembre 2018

Fotografare significa “scrivere con la luce”:
 i processi chimici a cui questo fenomeno è dovuto si fondano invero sul fatto che la luce, o meglio l’insieme di onde di varia lunghezza d’onda o frequenza che la costituiscono, è capace di modificare le molecole di varie sostanze che perciò vengono dette fotosensibili. Fin dal Medioevo, gli alchimisti, studiavano i composti che viravano se esposti alla luce. Nel ‘700 gli scienziati Shultze e Wedgwood apportarono importanti sviluppi nel campo: durante alcuni esperimenti con carbonato di calcio, acqua regia, acido nitrico e argento, fu scoperto che il composto ottenuto, fondamentalmente cloruro d’argento, reagiva alla luce cambiando colore. Furono ripetuti esperimenti riempiendo una bottiglia di vetro con i reagenti e fu notato che i prodotti di reazione cambiavano colore solo nel lato illuminato. A tale sostanza fu dato il nome di scotophorus, portatrice di tenebre. Gli studi compiuti, provocarono fermento nel mondo scientifico, ma solo verso la fine del 1700 l’inglese Thomas Wedgwood sperimentò l’utilizzo del nitrato di argento immergendovi dei fogli di carta che espose alla luce, dopo avervi deposto degli oggetti. Si accorse che, dove la luce colpiva il foglio, la sostanza si anneriva, mentre rimaneva chiara nelle zone coperte dagli oggetti. Purtroppo queste immagini non si stabilizzavano  e perdevano rapidamente contrasto se mantenute alla luce. Successivamente Joseph Nicephore Niepce si interessò al fenomeno e approfondì gli studi alla ricerca di una sostanza che potesse impressionarsi alla luce e che mantenesse il risultato nel tempo. Utilizzò un foglio di carta bagnato di cloruro di argento esponendo all’interno di una piccola camera oscura. L’immagine apparì invertita, con gli oggetti bianchi sul fondo nero. Questo negativo non soddisfò Niepce, che proseguì la ricerca di un procedimento per ottenere direttamente il positivo. Scoprì che il bitume giudaico era sensibile alla luce e lo utilizzò nel 1822 per produrre delle copie di un’incisione. Il bitume di Giudea è un tipo di asfalto normalmente solubile in olio di lavanda e, una volta esposto alla luce indurisce. Niepce cosparse una lastra di peltro con questa sostanza e vi sovrappose l’incisione. Dove la luce riuscì a raggiungere la lastra di peltro attraverso le zone chiare dell’incisione, si ebbe una sensibilizzazione del bitume che si indurì e non poté essere eliminato dal successivo lavaggio con olio di lavanda. La superficie rimasta scoperta venne scavata con acquaforte e la lastra finale potè essere utilizzata per la stampa. Nel 1837 Daguerre utilizzò una lastra di rame con applicata un sottile foglio di argento che, posta sopra i vapori di iodio reagiva formando ioduro d’argento. Seguì l’esposizione alla camera oscura dove la luce trasformava lo ione argento in argento metallico. L’immagine non risultava visibile fino alla esposizione a vapori di mercurio. Un bagno in una soluzione di sale comune fissava, sia pur non stabilmente, l’immagine. Il processo destò molto scalpore e si diffuse in tutta Europa diventando il principale metodo per ottenere fotografie. Fu solo nella seconda metà dell’Ottocento che Fox Talbot perseguì l’obiettivo di ottenere una fotografia come prodotto non più generato dalla mano dell’uomo, bensì grazie all’impiego della tecnologia. L’obiettivo delle ricerche di Talbot divenne quindi quello di riuscire a ottenere delle immagini foto-chimiche. Egli, nel libro The pencil of the nature, pubblicò le sue ricerche corredando il testo con numerose fotografie. Talbot mise a punto un procedimento fotografico che permetteva la riproduzione delle immagini con il metodo negativo/positivo tramite il quale si potevano ottenere molte copie della medesima posa. Sia il negativo che il positivo erano costituiti da una carta impregnata di cloruro di argento. La strada della fotografia era aperta ed ebbe grande diffusione in tutto il mondo. Da allora molto tempo è passato, ma ancora oggi, la tecnica fotografica tradizionale, si basa su quattro tappe fondamentali:
1)       Fotoreazione iniziale
2)     Sviluppo
3)     Fissaggio
4)     Stampa
Il supporto per conservare le immagini riprese con la macchina fotografica a pellicola è la pellicola fotografica che è costruita a strati: il supporto base è costituito da un sottile nastro di materiale plastico su cui viene applicato uno strato di gelatina che porta in sospensione dei piccoli cristalli di AgBr. La gelatina usata in fotografia si ottiene tramite la degradazione del collagene, proteina a struttura lineare molto diffusa nel mondo animale. I cristalli di AgBr, detti grani, si preparano trattando una soluzione di AgNO3 con KBr; si ottiene, tramite una reazione di precipitazione AgBr che, data la sua scarsa solubilità precipita in cristallini. La grandezza dei grani dipende dal tempo di riposo: se questo è breve si ottengono grani di piccole dimensioni, se è prolungato si ottengono grani più grossi. Poiché la dimensione dei grani ha notevole importanza nel processo fotografico, questa reazione deve essere condotta con particolare cura. I grani vengono poi mischiati a gelatina fusa: si forma una sospensione, detta comunemente emulsione sensibile, che si applica in strato sottile sul supporto. Una radiazione luminosa di giusta frequenza che colpisca i grani di AgBr dà l’avvio a una serie di reazioni concatenate che avvengono ad opera della luce:
Ag+ Br = Ag+ + Bro + e
Ag+ e = Ago
Ago + Ag+ = Ag2+ + e = Ag2o
Ag2o + Ag2+ = Ag3+ + e = Ag3o
Ag3+ +Ag = Ag4+ + e = Ag4o
Nel reticolo cristallino di AgBr si formano alcuni atomi di Ag neutro ( Ago) che si insericono tra le maglie, man mano che la luce libera gli elettroni dal Br del grano: sono necessari almeno 4 atomi di Ag perché sia possibile lo sviluppo. Gli aggregati di atomi di Ag+ costituiscono l’immagine latente. Gli atomi di Bro per la configurazione elettronica non completa ( p5) , sono pronti a catturare un elettrone e ad aggregarsi agli ioni Ag+
Ag+ + Bro+ e = AgBr
In definitiva tendono a impedire la formazione dell’immagine latente, o a distruggere l’immagine latente già formata, riducendo la grandezza degli aggregati di atomi di Ag:
Bro + Ag4o ( grano sviluppabile) = Ag3o ( grano non sviluppabile) + Ag+ Bro + e
Il Bro, per la sua alta elettronegatività, si comporta come una buca positiva, richiamando l’elettrone dell’Ago e accelerando la reazione di demolizione dei nuclei di Ago; anche dagli ioni Br vengono richiamati elettroni e la buca si sposta in seno alla compagine AgBr-Ago. per eliminare tale inconveniente si aggiungono all’emulsione sensibile delle sostanze dette sensibilizzanti che non permettono la distruzione dell’immagine latente, e addirittura ne permettono il formarsi. La scoperta dei sensibilizzanti fu casuale ( Sheppard , 1925); avvenne quando, dopo aver usato una gelatina che conteneva impurezze di zolfo, ci si accorse che l’immagine latente non veniva obliterata. Oggi, all’emulsione gelatina-bromuro di argento si aggiunge anche Ag2S: gli atomi di Bro che si comportano da buca positiva mobile catturano selettivamente gli elettroni dallo ione S2- , senza impedire la formazione di Ago e senza demolire gli aggruppamenti di atomi di Ag già formati:
2 Bro + Ag2S = 2 Ag+Br– + S
Quindi Ag2S rende davvero più veloce la reazione e accresce la densibilità dell’emulsione. Anche la dimensione dei grani di AgBr influenza la sensibilità della pellicola: se i grani sono grandi, cioè formati da molte unità di AgBr, la possibilità di fotoreazione è superiore a quella di grani piccolissimi, perché sono necessari almeno 4 Ag per dare l’avvio alla reazione a catena; se però i  grani sono molto grandi, un gruppo di 4 Ag non è più sufficiente per la propagazione della reazione in tutto il grano: deve esserci un numero superiore di inneschi, e quindi la reazione rallentata determina una minore sensibilità.
Lo sviluppo. Un unico fotone che colpisce un grano di AgBr produce la formazione di almeno 4 atomi di argento ridotto. Con l’impiego di sostanze riducenti appropriate si ha la possibilità di trasformare velocemente una enorme quantità di ioni argento in argento elementare specialmente se nei grani si sono già formati germi di atomi neutri di Ag. I grani che non ne contengono rimangono inalterati. La pellicola impressionata dalla luce viene immessa in un bagno di sviluppo nel quale agisce da riducente un rivelatore. La sostanza riducente più comunemente usata per foto in bianco e nero è una soluzione di idrochinone; un rivelatore tipo contiene una o due molecole riducenti, un antiossidante e un tampone alcalino che mantenga costante il progredire della reazione regolando il pH.
chemistry
Per impedire il retrocedere della reazione di equilibrio si tratta con Na2SO3: la reazione produce ioni OH- che catturano ioni H+ derivati dall’azione precedente, impedendone il regredire. Il borace in soluzione agisce come tampone assorbendo H+ formatosi dalla precedente reazione:
Na2B4O7 + 10 H2O = 2 H3BO3 + 2 Na+ + 2 B(OH)4 + 3 H2O
H+ + B(OH)4– = B(OH)3 + H2O
La reazione di sviluppo è strettamente collegata alla temperatura e al tempo di immersione; la permanenza di una pellicola nel bagno per un tempo prolungato, a temperatura superiore al dovuto, provoca un annerimento totale. Un bagno di arresto in soluzione di acido acetico conclude il processo di sviluppo perché gli ioni H+ che abbassano il pH impediscono all’idrochinone di trasformarsi in chinone.
Il fissaggio. In una pellicola impressionata, solo nei grani esposti alla luce, si sono formati atomi neutri di argento; il rivelatore ha poi accentuato la riduzione permettendo la formazione di nuovi aggregati di Ago che si propagano da quelli iniziali. Se dalla pellicola già trattata non viene eliminato l’Ag+ Br residuo, c’è il rischio che, a causa di radiazioni luminose o di qualsiasi agente riducente, anche questo reagisca producendo Ago e faccia quindi annerire la pellicola. Si dice fissaggio il trattamento per mezzo del quale si lava via solo lo ione Ag+ non trasformato, in modo che sulla pellicola rimanga solo l’Ag ridotto. Il fissatore è Na2S2O3 tiosolfato di sodio, capace di legarsi con AgBr formando un complesso solubile che viene portato via attraverso numerosi lavaggi della pellicola.
AgBr  (solido, insolubile) + 2 S2O32- = Ag(S2O3)23- ( complesso solubile) + Br
Sulla pellicola resta solo Ago, mentre Ag+ passa nelle acque di lavaggio dalle quali può anche essere recuperato, dato che sulla pellicola ne resta il 20-40%.
La stampa. Sulla pellicola sviluppata, fissata e sottoposta a lavaggio rimangono delle zone scure, dovute alla formazione di Ago, e delle zone chiare, quelle dalle quali l’AgBr non trasformato è stato eliminato per mezzo del fissaggio. La stampa si ottiene investendo il negativo con un fascio di luce intensa, che attraversandolo deve colpire una carta sensibile. Anche la carta sensibile contiene grani di AgBr ( o di AgCl più stabile), più piccoli di quelli della pellicola, quindi molto meno reattivi. Le carte sensibili sono perciò più facili da trattare di quanto lo sia una pellicola non sviluppata, perché i tempi di reazione sono più lunghi.

martedì 6 novembre 2018

ASCOLI ANTICA

ASCOLI ANTICA

COSTANTINO ROZZI
NIPOTE DI COSTANTINO CELANI 
Immagine correlata
Immagine correlata
MAESTRO LIUTAIO DI CESARE CASTELLI

PORTA CAPPUCCINA LAVATOI
PORTA CAPPUCCINA PONTE ROMANO

lunedì 5 novembre 2018

PORTO A SPASSO LA SIGNORA

PORTO A SPASSO LA SIGNORA:

MA LUI E MASCHIO




CALCOLATORE DI PROFONDITÀ DI CAMPO (DOF)


  • Distanza iperfocale: la distanza più vicina alla quale è possibile mettere a fuoco un obiettivo mantenendo gli oggetti all'infinito accettabilmente nitidi. Quando l'obiettivo è focalizzato a questa distanza, tutti gli oggetti a distanze dalla metà della distanza iperfocale verso l'infinito saranno accettabilmente nitidi.
  • Limite iperfocale: la distanza tra la fotocamera e il primo elemento considerato accettabile quando si concentra sulla distanza iperfocale. 
  • Profondità di campo (DOF): la distanza tra i punti più lontani e quelli più vicini che sono nel fuoco accettabile. Questo può anche essere identificato come la zona di nitidezza accettabile davanti e dietro il soggetto a cui è focalizzata la lente. 
  • Limite DOF vicino: la distanza tra la fotocamera e il primo elemento considerato accettabile.
  • Limite di DOF: distanza tra la camera e l'elemento più lontano considerato accettabile.
  • Depth of Field (DOF) Davanti: distanza tra il DoF Near Limit e il piano di messa a fuoco.
  • Profondità di campo (DOF) dietro: distanza tra il piano di messa a fuoco e il limite lontano DoF.

ILARIA

domenica 4 novembre 2018



Risultati immagini per composizione fotografica

Immagine correlata

Con il termine di composizione fotografica si intendono tutte le decisioni prese dal fotografo, al momento dello scatto, riguardo alla scelta del soggetto da rappresentare e alle sue relazioni con l'ambiente circostante (sfondo). Altre soluzioni possono essere di tipo pratico, la scelta della posizione da cui scattare la foto (inquadratura, prospettiva), o di tipo tecnico quali il tempo di esposizione o la messa a fuoco. Solitamente le scelte pratiche influiscono maggiormente sulla composizione dell'immagine mentre il risultato dal punto di vista qualitativo (bilanciamento corretto del colore o assenza di rumore) si raggiunge grazie alla tecnica.
Obiettivo di queste decisioni è il comporre un'immagine che trasmetta le sensazioni di quel particolare momento, coinvolgendo l'osservatore e focalizzandone l'attenzione su determinati particolari. Raggiungere questo obiettivo significa rendere dinamica un'immagine, allontanandola dal senso di staticità che si può creare fotografando un soggetto immobile (un albero, delle montagne). Difatti il soggetto di una foto può essere una persona ma anche un oggetto o un panorama; in questo caso scegliere il soggetto significa anche scegliere il metodo di comporre l'immagine.
Scattare una foto ben composta non è sempre semplice, poiché la quantità di elementi presenti nell'inquadratura potrebbe rendere difficile il posizionamento di un soggetto in modo tale che attragga l'attenzione, fugandola da particolari secondari o indesiderati. Accade infatti spesso che in una foto appaiano elementi in posizioni di disturbo sui quali cade l'occhio, distogliendo la concentrazione dal vero protagonista dello scatto che viene lasciato in secondo piano. In alcuni casi possono finire nell'inquadratura soggetti indesiderati che rovinano la scena (tipico esempio è il palo della luce con i suoi fili davanti ad un paesaggio).
Il consiglio che viene dato al fotografo novizio è quello di non posizionare il soggetto al centro dell'immagine ma di cercare di decentrarlo rendendo l'immagine più movimentata (evitando la tipica inquadratura da fototessera, piatta e statica). Questo consiglio si basa su una regola principale da seguire (ma anche infrangere), la più nota nel campo della composizione dell'immagine: la regola dei terzi.




sabato 3 novembre 2018

fotografia:
La luce delle finestre 


di Joe Baraban


Luce in fotografia
Non c'è niente di meglio della luce di una finestra!

Quando stavo iniziando la mia carriera, quasi quarantasei anni fa, non disponevo di molti soldi per le attrezzature, in particolare per le apparecchiature di illuminazione. Insomma anche se avessi saputo cosa fare con quegli aggeggi non avrei avuto i soldi per comprarli. Così ho usato le mie conoscenze artistiche per risolvere i problemi di luce.

Quello che voglio dire è che, per i miei lavori, ho usato la luce disponibile e spesso questo ha voluto dire usare la luce delle finestre. Di conseguenza, quando sono cresciuto, ero abbastanza sicuro da utilizzare la luce disponibile di una finestra, per qualsiasi tipo di lavoro affrontato nel mio primo studio fotografico.

Infatti, agli inizi, ho avuto un piccolo spazio al piano inferiore in una vecchia casa. Il mio set-up di illuminazione era una grande finestra nella parte anteriore della casa, sul fronte nord. Ho usato quella luce per fare di tutto, dai ritratti all'oggettistica. Al momento, non mi rendevo conto che era il miglior modo possibile per illuminare le persone, infatti nel corso degli ultimi anni sono ritornato alle origini.

Nei miei corsi on line e nel mio laboratorio “Stretching Your Frame of Mind” che ho condotto in giro per il mondo, suggerisco sempre di usare la luce disponibile delle finestre e, allo stesso tempo, sottolineo di evitare i flash di riempimento come se fossero la peste. 
Anche in una giornata cupa, ci sarà abbastanza luce proveniente dall'esterno per realizzare un ritratto di qualità. Nei mesi invernali dico, agli studenti che non credono ci sia niente da ritrarre fino al disgelo, di scattare in casa utilizzando la luce di una finestra. 
Anche quando potrei permettermi di utilizzare luci artificiali per i miei lavori, cerco sempre la luce naturale, disponibile da una finestra, dal momento che ho sempre cercato di ricrearla con le mie luci stroboscopiche e softbox.

Come è nella natura stessa della luce della finestra, l'illuminazione laterale è il modo più semplice per illuminare le persone. Io preferisco questo tipo di luce poiché aggiunge profondità al viso del soggetto. 
Cosa intendo per aggiungere profondità"? Rendere un lato più luminoso rispetto all'altro e magari usare un piccolo riflettore bianco per far rimbalzare la luce un poco indietro, sul lato oscuro. 
Questo è uno degli elementi fondamentali della progettazione visiva che insegno nelle mie classi, che si chiama Forma
La Forma si riferisce alle tre qualità dimensionali di un oggetto che solitamente ci appare solo in due dimensioni: altezza e larghezza. Per creare la terza dimensione, vale a dire la profondità, si deve dare una luce laterale al soggetto; in caso contrario apparirà piatto, senza alcun senso di forma e volume.

Quindi cercate di lavorare in camere con molte finestre che offrano diversi tipi di illuminazione. Uno dei modi che preferisco, per illuminare una persona (come nella foto sopra) è di usufruire della luce di una finestra collocata appena fuori dell'inquadratura e avere altre finestre sullo sfondo per far risaltare il soggetto. 
OK, qui è un buon momento per dirvi che ogni volta che qualcuno vi dice che non è consigliabile "avere le alte luci senza dettagli", non credeteci…, perché questa persona probabilmente è solita scattare foto medie, prevedibili; che non interessano a nessuno.